IL DESERTO DEI TARTARI di Dino Buzzati

L’attesa, la prova, la guerra: è così possibile riassumere il deserto dei tartari, romanzò che segnalò Buzzati al grande pubblico: il libro, la prima traduzione europea fu pubblicata nel 1942, nella Vienna nazista, rischiò di passare per guerrafondaio. La vicenda del tenente di prima nomina Giovanni Drogo, inviato alla Fortezza Bastiani che si erge sul nulla ed è affacciata su un deserto di cui si dice che un tempo fu luogo dello scorrerie dei Tartari, è in realtà una feroce vicenda antimilitarista. Il protagonista all’inizio rifiuta la fortezza e la vive come un dispetto: poco alla volta viene catturato dal sortilegio dell’attesa di un nemico che non arriva, di cui si vocifera, ma di cui non si crede neppure che esista. E’ la speranza di rompere la monotonia di una vita grigia. Basta il rinvenimento di un cavallo per destare sospetti, gli ufficiali e i soldati devono vivere nella e per la speranza dell’apparizione delle truppe nemiche, un cannone, un reggimento. Drogo passerà trenta anni della sua vita nella Fortezza tra il comandante Matti dai modi bruschi, il sergente Tronk inflessibile che conosce alla perfezione tutti i regolamenti e le guardie alle ridotte. La vita della fortezza è piatta, uguale, inutile ma nelle rare licenze in città, il tenente non si riconosce e non si ritrova, mentre gli amici fanno carriera e costruiscono ed ammirano case e fortune. Il sortilegio ha legato indissolubilmente Drogo alla Fortezza, come ha legato a questa struttura decine di ufficiali, prigionieri di un sogno-incubo. Due sono gli episodi veri ed emblematici: l’assurda morte del soldato Lazzari, ucciso dall’addetto alla guardia detto Moretto, suo amico e compagno di camerata, emblema della noia e della rigidità dei regolamenti non della guerra e la morte del tenente Angustina che rifiuta l’attesa, austero e nobile, inviato insieme alla truppa della fortezza per giungere in vetta alle montagne prima di un nemico pacifico e sorridente che finalmente appare. Un nemico che non è nemico, semplicemente vuole fissare dei confini: ad interpretare il Buzzati, il gesto di Angustina, curiosa scelta di suicidarsi sotto la neve, risplende di una luce ingombrante, sarà la persecuzione per coloro che aspetteranno invano di perire in battaglia. Passano gli anni, Drogo invecchia con la speranza, mentre la Fortezza viene sguarnita di uomini, ritenuta ormai inutile avamposto per un nemico che non ha intenzione di attaccare. Restano il tenente Simeoni ed il tenente Drogo a vivere con l’illusione: è il cannocchiale speciale e fuori dotazione di Simeoni ad avvistare delle luci fioche in lontananza, movimenti lenti, uomini. “Stanno costruendo una strada, sei mesi e sono qui”, giorni, mesi ad osservare i movimenti e gli spostamenti, l’illusione crea anche la sensazione di un avanzamento progressivo, l’illusione incerta e senza prove, non si vedono uomini, solo luci fioche che si muovono come in un gioco al computer. La speranza dei due, il sollazzo nel grigiore, viene distolta dal comando cittadino che vieta espressamente qualunque voce su un presunto attacco nemico: dal deserto può arrivare solo il silenzio. Simeoni cede e consegna al comandante della Fortezza il suo cannocchiale: con questa mossa nega persino quello che ha sostenuto fino a pochi minuti prima. Non sono truppe ma accampamenti di abitanti del deserto. E’ il personaggio più negativo del romanzo. Passano gli anni il tenente di prima nomina diviene capitano e poi maggiore, Simeoni, pensionato il Matti, è il nuovo comandante della fortezza: segno dei tempi questo passaggio di consegne, il vecchio dal carattere burbero era rispettato dai soldati, il nuovo pare uno scaltro opportunista. Trenta anni di attesa, trenta anni vissuti su una speranza che potrebbe rivelarsi fallace. Drogo si ammala, i sei mesi previsti da Simeoni sono diventati anni, lustri, il nemico che viene dal deserto dei Tartari finalmente si materializza ed è intenzionato ad attaccare, non fissa confini, li vuole violare. La speranza si è materializzata, il nemico tanto atteso sta per giungere, la febbre dell’evento e della battaglia avvolge la Fortezza, la riavviva, la fa rinascere. Il maggiore è ormai malato e non può combattere: il nemico bivacca nel deserto, giorni o mesi per l’attacco, Giovanni Drogo viene trasportato via, mandato via dall’ex amico Simeoni, lontano da quella prigione che l’ha tenuto incatenato per la vita mentre la Fortezza riprende vigore con l’arrivo di rinforzi. La guerra è imminente, giorni, secondi o mesi, la beffa atroce, uno scherzo pesante ordito dal destino: il maggiore esce dalla Fortezza mentre le forze fresche giungono nel luogo che ha amato/odiato/detestato e lui viene trasportato, sconfitto e vinto dal male, lontano dal deserto e dai bastioni. Giovanni Drogo morirà senza combattere, per lui una sconfitta lacerante. Nacque nel 1906 a Belluno e morì a Milano nel 1972. Si laureò in legge e nel 1928 venne assunto al Corriere della sera come cronista, divenendo subito redattore (tra il 1935 ed il 1936 si occupò del supplemento la lettura. Nel 39 fu inviato speciale in Etiopia e dal 1940 lavorò come corrispondente di guerra su vari fronti. Nel 1967 assunse l’incarico di critico d’arte del giornale. La sua produzione letteraria fu florida: esordì nel 1933 con il romanzo Barnabò delle montagne seguito nel 1935 dal racconto Il segreto del bosco vecchio. I personaggi di questi romanzi sono immersi in un mondo favoloso e divengono simboli di una generale condizione umana. Il successo arrivò nel 1940 proprio con il deserto dei Tartari. Negli anni successivi si dedicò soprattutto ai racconti, con numerose raccolte tra cui i sette messaggeri del 1942, Paura alla Scala del 1949, In quel preciso momento del 1950, Il crollo della balinverna del 1957, sessanta racconti del 1958. Il ritorno al romanzo avvenne nel 1960 con il grande ritratto di genere fantascientifico e poi nel 1963 con un’amore, l’avventura minuziosamente descritta di un professionista milanese con una ballerina. Nel 1966 con il colombre riprese la produzione di racconti. A cavallo tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta uscirono la boutique del mistero e le notti difficili. Fu pittore, attività coronata da mostre a partire dal 1958, fu autore di versi il capitano Pic ed altri versi del 1965, di testi teatrali (un caso clinico del 1953, la colonna infame del 1962 e la fine del borghese del 1968) e di un mix tra narrativa e fumetto (poema a fumetti del 1969).

Maya@valchisone.it

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