ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE IN VAL CHISONE

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA VAL CHISONE
Della rivoluzione produttiva che prese le mosse in Inghilterra nella seconda metà del settecento non si sentirono in Italia, in quel secolo, che assai pallide ripercussioni. Nell’800, invece, si possono riconoscere momenti di sviluppo simili a quelli dell’Europa occidentale. In Val Chisone la prima fase dell’industrializzazione è contraddistinta dalla nascita dell’industria tessile (primo setificio a Perosa Argentina 1835, secondo setificio 1870, cotonificio di San Germano 1862, cotonificio di Perosa 1883) e dall’ affermarsi dell’ industria estrattiva (miniere di rame del beth, di talco e grafite in vari siti della bassa e media val Chisone e in val Germanasca, centri di trasformazione a Perosa e Porte).
Dall’inizio del ‘900 si assiste al secondo momento dell’industrializzazione, caratterizzato dal lento declino dell’industria tessile cui si contrappone il fiorire dell’industria meccanica, che in Valle si concretizza con lo stabilimento Riv di Villar Perosa (1906). Questa fase si protarrà per il successivo mezzo secolo, fino a quando piccole roccaforti del tessile, quali Widemann e Gutermann scompaiono ed il cotonificio di Perosa attraversa un drammatico periodo, mentre il settore metalmeccanico fa a parte del leone, anche se con profonde ristrutturazioni che incidono sulla manodopera in modo sostanziale, cosa che avviene anche nel settore estrattivo.
La stretta attualità è quella dell’ultima fase, in cui si assiste alla deindustrializzazione, ossia al sistematico abbandono del territorio da parte della grande industria, che ha fatto il suo tempo.
Se le opere sociali volute dagli imprenditori paternalisti continuano ad essere vissute dai valligiani, le strutture produttive dimesse sono in gran parte abbandonate. Questi contenitori che per lunghi anni hanno ospitato macchinari e cicli produttivi, ma soprattutto uomini che tra quelle pareti hanno trascorso buona parte della loro vita, non solo partecipando alla produzione ma anche intessendo rapporti sociali, creando una cultura, instaurando delle tradizioni. Tutto questo patrimonio non va soltanto salvaguardato, ma valorizzato ed offerto quale componente turistica di qualità, al pari delle altre, culturali, architettoniche e paesaggistiche.

L’INDUSTRIA ESTRATTIVA
LE MINIERE DI RAME
Il sig. Matteo Allamand, il giorno 12 ottobre 1739, si presentò al Consiglio Comunale di pragelato asserendo di aver trovato del minerale di rame nel vallone di Mendie, chiedendo perciò di essere autorizzato a proseguire le ricerche. La storia pionieristica delle miniere del Bet parte da quel giorno ed arriva fino al 1863, quando il più importante giacimento della zona, a quota 2775 m, viene dato in concessione a Pietro Giani, col nome ufficiale di “Miniere di Vallon Cros e Glacières”. Da quel momento si può parlare di sfruttamento industriale dei giacimenti. Tra il 1863 ed il 1872 il Giani ed il nuovo socio francese Giacomo Guilmin, costruirono per il trattamento del minerale un piccolo fabbricato, denominato “Fonderia della Tuccia” in località Clot des Touches, sul fondo della Val Troncea e dei forni, detti di San Martino, a quota 2320 m, dove il materiale estratto veniva alleggerito mediante cottura delle scorieper facilitarne il trasporto a valle. I notevoli investimenti sostenuti a fronte di scarse entrate, portarono al fallimento del Giani ed alla sospensione delle attività. Lo sfruttamento venne ripreso nel 1887, con scarso successo, dall’erede del Guilmin che nel 1890 fu costretto a cedere le miniere ad una società italo-francese, la Compagnia Rami e Zolfi di Pinerolo.
La Compagnia organizzò i lavori con metodi industriali. Iniziò i lavori di scavo della galleria “Nuova” per collegare direttamente le galleria che si aprivano in Val Germanasca alle gallerie della Val Troncea, evitando di far passare il minerale estratto attraverso il Colle del Beth, consentendo così il lavoro anche d’inverno. Venne costruita una teleferica lunga 4000 metri, dalla stazione di partenza dell’ Angolo sita a 2435 m, in località Vaiolet, fino alla Tuccia, a 1730 m. Le strutture e gli impianti della Tuccia furono ampliati e modernizzati con la costruzione di una centrale elettrica. L’energia prodotta, circa 150 kwh, serviva per il trattamento del materiale e all’impiego di perforatrici eletttriche in galleria. Per poetr lavorare nella stagione invernale si costruirono, vicino all’imbocco della costruenda galleria Nuova a quota 2540 metri, dei baraccamenti destinati ad abitazione dei minatori.
Nel 1899 il complesso minerario cambiò di proprietà, passando alla Società Mineraria Italiana. I lavori raggiunsero la massima intensità ai primi del ‘900: vi lavoravano a tempo pieno 150 minatori.
L’inverno del 1904 fu molto nevoso e ad aprile, dopo giorni di intense nevicate, i 120 minatori che si trovavano nelle baracche al di sotto del colle del beth, isolati ed impautiri, il mattino del 19 si misero in marcia verso il fondovalle. Due valanghe, staccatesi contemporaneamente dai due versanti opposti, travolsero uomini, baraccamenti, paravalanghe ed installazioni minerarie. I morti furono 81, quasi tutti molto giovani. I lavori, ripresi con molte difficoltà, si chiusero definitivamente nel 1914.
LE MINIERE DI GRAFITE
Le prime coltivazioni di miniere di grafite, note nelle Alpi Cozie risalgono a metà ‘800. In valle vengono autorizzate ricerche nei comuni di Inverso Pinasca, Pramollo e San Germano Chisone. Conessioni vengono rilasciate nel 1890 a Vinçon davide in località Dormigliosi e alla ditta Brayda in loc. Timonsella, entambe nel comune di S. Germano. Successivamente vengono aperte numerosissime miniere di grafite nei comuni di Roure, Pomaretto, Inverso Pinasca, Villar, Pramollo e San Germano. In seguito la quasi totalità delle miniere fu acquistata dalla Società Talco e Grafite Val Chisone. La massima produzione, 8000 tonnellate, si raggiunse negli anni 1920-30 con circa 200 operai tra minatori e addetti ai mulini. Progressivamente le miniere sono state abbandonate fino al 1983, quando è stata chiusa la miniera di Icla-Brutta Comba in San Germano, la più importante della valle.
LE MINIERE DI TALCO
Sotto il nome di “craie de Briançon”, fin dalla metà del ‘700, il talco, dalla cittadina francese, era noto in tutta Europa come pietra per sarti. A Briançon il talco arrivava, a dorso di mulo, dalle valli Chisone e Germanasca, dove era noto con il nome di “peiro douço” (pietra dolce) ed era estratto a cielo aperto dagli abitanti del luogo. Nel 1780 il Consiglio generale delle Comunità della Val Chisone assumeva unua deliberazione per regolamentare l’estrazione del talco, segno che il talco aveva assunto una notevole importanza. Di sfruttamento industriale si può parlare solo a fine ‘800, quando il cav. Francesco Alliaud, i geometri De Giorgis e Elleon, l’avv. Carlo Gay, i sigg. Eugenio Juvenal, Cirillo Tron e gli inglesi Parhè Bouvard e Huntriss diedero il primo notevole impulso all’estrazione del minerale. In seguito entrarono in questa attività ache la ditta Eredi di giuseppe Tron, la Societè Internationale de Talc de Luzenac (Francia) e la Società Talco e Grafite Val Chisone. Quest’ ultima, verso gli anni ‘20, assorbì tutte le altre ditte accentrando l’intera lavorazionein un solo efficiente organismo. In valle il talco è stato estratto nei comuni di Prali, Salza di Pinerolo, Perrero, Roure, Fenestrelle, Usseaux e Pragelato. L’attività estrattiva è ora concentrata nelle miniere di Crosetto e Gianna nei comuni di Salza e Prali, con una produzione annua di 40000 t.
Il giacimento di maggior importanza della Val Chisone era quello della Roussa, sito nel comune di Roure, ad u’altitudine compresa tra i 1400 e i 1500 metri. il sito minerario era suddiviso in quattro lotti; vi lavorarono per lacuni decenni circa 300 operai per 7000-8000 t annue di talco pregiato negli anni precedenti la prima guerra mondiale.. La società Talco e Grafite Val Chisone, che rilevò negli anni venti gli impianti, abbandonò il giacimento nel 1963.
Il patrimonio minerario, costituito in oltre un secolo di lavoro delle genti della valle, ricco di cultura, di tradizoni, di conoscenze, di rapporti sociali e di innumerevoli realizzazioni, rischia di scomparire. Per evitare che tutto questo si perda, la Comunità Valli Chisone e Germanasca ha avviato un ambizioso progetto per la salvaguardia, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio minerario: il lavoro dei minatori e tutto quanto da essi realizzato può essere trasfirmato in un prodotto turistico specifico di questa zona, un prodotto che, associato alle valenze architettoniche, culturali e paesaggistiche, può integrare e differenziare l’offerta turistica attuale.

L’INDUSTRIA TESSILE
IL SETIFICIO DI PEROSA ARGENTINA
La comparsa dell’industria propriamente detta in Val Chisone risale al 1835-37, anni in cui i baroni Bolmida, fratelli imprenditori provenienti dall’ alessandrino, decisero di impiantare uno stabilimento per la lavorazione della seta in Perosa Argentina. Furono costruiti quattro blocchi: la filanda, il filatoio, la carderia meccanica e il laboratorio.
In quest’ ultimo ambiente abili meccanici riparavano i macchinari danneggiati e costruivano nuove attrezzature, che i Bolmida studiavano nei loro frequenti viaggi all’estero alla ricerca del nuovo. Proprio la più importante di queste innovazioni, la trasformazione di macchine inglesi costruite per la pettinatura della lana, in macchine adatte alla lavorazione dei cascami, segnò il destino dell’ impresa dei Bolmida. Questi infatti, non riuscendo a compiere tale trasformazione in proprio, si affidarono ad un costruttore esterno. Il gruppo francese Chancel, leader europeo della seta, venuto a sapere della cosa, ordinò ad una ditta d’oltralpe di fare altrettanto; questa prese la via più breve, assoldando il costruttore dei Bolmida, che se ne andò in Francia coi loro progetti. Nel 1870, un familiare dei Chancel, Benedetto Berthelot, dopo dissidi con la famiglia, si trasferì a Perosa, impiantando un nuovo stabilimento per la lavorazione di cascami di seta, con criteri tecnici avanzatissimi per quel tempo, utilizzando le macchine pensate dai Bolmida.. Il prodotto era assolutamente concorrenziale con quello dei Bolmida che nel breve volgere di pochi anni furono costretti ad abbandonare l’impresa. Era il 1880 e la seta scompariva dall’antico stabilimento di via Re Umberto per continuare a vivere in quello del Berthelot in Via Chiampo.
Il Berthelot, che dal 1870 in poi aveva tratto enormi vantaggi dalle innovative tecniche di produzione, dovette subire una grave crisi commerciale dieci anni dopo, per cui fu costretto a cedere l’azienda nel 1883. Compratrice fu la famiglia Gutermann, già fabbricante di seta per cucire e ricamare in quel di Gutach (Germania), ma priva di reparti per la macerazione e la pettinatura dei cascami di seta greggia: con l’acquisizione dell’ azienda perosina i Gutermann detennero l’intero ciclo produttivo. L’avvento dei Gutermann produsse la sperata ripresa: agli inizi del ‘900 si assistette ad un notevole aumento di personale, infatti le 140 persone iniziali divennero ben 691 nel 1908.
Il massimo splendore si ebbe negli anni ’30, quando si arrivò a contare 1200 dipendenti; la seconda guerra mondiale, con le difficoltà di approvvigionamento della materia prima presso i mercati d’oriente, determinò una pesante crisi, superata nel ’47. L’avvento delle fibre tessili sintetiche, nel decennio successivo, riportò l’azienda in una situazione precaria, aggravata anche dal mancato rinnovo delle strutture e delle tecnologie e dallo scarso aggiornamento del personale. Possibili soluzioni si intravvidero nella produzione di filati misti (seta-lana e seta-sintetico), ma questo non impedì il ricorso alla cassa integrazione per buona parte del personale, fino alla cessione dell’azienda ed alla chiusura della filatura nel 1986.
GLI IMPIANTI
La costruzione originale, ancor oggi visibile sulla sinistra orografica del torrente Chisone, è a più piani, con una ampio fronte parallelo al corso del fiume. Successive espansioni hanno portato alla costruzione di altri edifici nello stesso lotto di terreno ed alla costruzione della filatura sul lato opposto di Via Chiampo, con sei piani che si affacciano direttamente sul Chisone. Questa struttura è collegata al corpo fabbrica originario attraverso un corridoio aereo che attraversa la carrozzabile. Gli impianti del reparto macerazione vennero costruiti sul territorio del comune di Pomaretto, sulla destra orografica del fiume, leggermente più a valle con struttura a capannone su un solo piano. L’ex molino Gay, situato ai piedi della rocca posta all’ingresso dell’abitato di Perosa, venne acquistato e riattato a magazzino. La materia prima giungeva via treno fino dinnanzi a questo magazzino; da qui, con una teleferica che attraversava il Chisone, veniva inviata alla macerazione e, adeguatamente trattata, ritrasportata nello stabilimento, dove subiva gli altri processi di lavorazione.
Il problema energetico venne risolto con la costruzione di alcune centrali in diverse epoche: queste riuscivano a produrre, nel 1946, da 12 a 15 milioni di Kwh l’anno e davano corrente, oltre che agli impianti industriali, anche all’illuminazione pubblica di Perosa e Pomaretto, agli uffici pubblici, alle scuole, agli artigiani ed alle case private per un totale di oltre 4.000 utenze.
LE OPERE SOCIALI
L’esigenza di avere gli operai in prossimità del posto di lavoro era già emersa all’epoca del Berthelot, il quale, nel breve periodo di permanenza al setificio (1870-1880) fece erigere le prime case operaie, ancor oggi abitate e conosciute con l’appellativo di “cà neuve” (case nuove), anche se l’epoca di costruzione risale al 1875. Le opere che vennero ad incidere fortemente sul tessuto preesistente furono edificate tra il 1890 ed il 1947 per iniziativa dei Gutermann. Le abitazioni non formarono un villaggio vero e proprio a causa delle localizzazioni scelte: le prime furono costruite nelle immediate vicinanze dello stabilimento, sfruttando al massimo la superficie dei lotti edificabili; le seguenti vennero collocate nelle aree di nuova edificazione, quindi frammiste ad altre abitazioni civili.
Nel 1895 sorsero, in via Nazionale, le prime case Gutermann, con ampliamenti datati 1903. Negli anni 1910, 1920 e 1928 vennero costruiti in via Chiampo tre edifici di quattro e cinque piani, destinati ad abitazione per impiegati; venne quindi eretto un convitto per le operaie provenienti da lontano, un nido per neonati, un asilo d’infanzia (1931).
Nell’immediato dopoguerra, nonostante l’incerta situazione economica, i Gutermann continuarono ad investire in opere sociali quali il nuovo ufficio postale e le abitazioni per assistenti ed intermedi in via Patrioti e in viale Duca d’Aosta.
I Gutermann non dimenticarono gli edifici di rappresentanza, come la casa padronale di tre piani con circostante ampio parco, costruita verso la fine dell’800 ed altre due ville, una acquistata e riattata (Villa Tron) ed un’altra costruita ex novo.
Buona parte di queste strutture sono ancora adibite alla funzione originaria, come le abitazioni, acquistate dai locatari, mentre l’asilo e il nido d’infanzia sono ora scuola materna statale e asilo nido comunale. Il convitto è abbandonato e in stato di progressivo degrado, mentre la casa padronale, riattata, è ora sede della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca.
Alcune strutture produttive, invece, sono state vendute a lotti ed ospitano diverse imprese artigianali, mentre buona parte di esse è inutilizzata.
IL COTONIFICIO DI PEROSA
Gli impianti per la lavorazione della seta abbandonati dai Bolmida vennero acquistati nel 1883 da una famiglia svizzera, i Jenny, in società con il torinese Ganzoni ed utilizzati per il tempo necessario alla costruzione di una nuova filatura nell’ area immediatamente di fronte alla vecchia filanda. Quest’ ultima fu dapprima utilizzata come magazzino, quindi adattata ad abitazione.
Lo stabilimento, pochi anni dopo la costruzione, dispose di ventimila fusi con 265 operai e nella produttività non si distanziò dai più attrezzati opifici dell’Europa occidentale. Il numero medio di filato – 68 – si collocava tra i più elevati titoli prodotti a livello nazionale. I dipendenti continuarono a crescere fino al conflitto mondiale quando, come negli altri impianti della zona, si verificò una crisi occupazionale derivante dalla penuria di materia prima e dalla migrazione della manodopera verso industrie che dalla guerra traevano vantaggi.
Negli anni successivi al primo conflitto mondiale, l’ azienda si risollevò in breve tempo, grazie all’ottima qualità del prodotto e nel 1920 entrò a far parte della società “Jenny e Ganzoni” Augusto Abegg e con esso il Cotonifico Valle Susa di Abegg & c.
Quella degli Abegg è una famiglia di facoltosi finanzieri svizzeri di antica tradizione, che ha avuto un ruolo importante nella costituzione di potenze multinazionali quali il Credito Svizzero e la Nestlé. A fine ‘800, come molti altri connazionali, scelsero l’Italia nord-occidentale come fertile terreno nel quale investire il capitale con imprese produttive legate al settore tessile. Della stirpe Abegg scese in Lombardia Carlo, che si dedicò alla lavorazione della seta ed in Piemonte Augusto, che optò per il settore cotoniero. Augusto Abegg si associò con Emilio Wild, tecnico esperto in filatura e diede il via ad un gruppo che, nel corso degli anni, assunse proporzioni gigantesche, con stabilimenti a Borgone di Susa, Torino, S. Antonino di Susa, Bussoleno, Pianezza, Susa (in ordine di apertura, dal 1880 al 1914). Nel frattempo Wild abbandonò l’impresa e Augusto costituì una società col fratello Carlo, il “Cotonifico Valle di Susa di Abegg & C.” Pur con oltre 200.000 fusi a disposizione, Abegg non deteneva una grande produzione di titoli fini ed è per questo che si interessò all’azienda di Perosa. Nel 1939 la “Società Anonima Cotonifico Valle di Susa” incorporò il Cotonificio di Perosa, che perse la sua autonomia e divenne un tassello del grande mosaico C.V.S.
Il periodo dal 1943 al ’45 fu drammatico anche per il Cotonifico di Perosa in quanto, specializzato com’era in titoli fini, non poteva essere riconvertito. Con la Liberazione la situazione si normalizzò rapidamente e il percorso di crescita riprese con vigore. La buona fama dello stabilimento perosino si andò rafforzando, tanto che veniva considerato “l’università” del gruppo e tutti i futuri tecnici e dirigenti trascorrevano a Perosa lunghi periodi di apprendistato.
Improvvisamente, sul finire del ‘47, gli Abegg decisero di disfarsi dell’ azienda, ed il Cotonifico Valle Susa s.p.a. venne così ceduto a Giulio Riva.
Questi, uomo di umili origini ma di grande ambizione, grazie alla propria spregiudicatezza e ad un matrimonio fortunato, era riuscito ad emergere all’interno dell’ Associazione Cotoniera Nazionale, che riuniva i grandi imprenditori del settore, prima come amministratore delegato dell’ Unione Manifatture, poi acquisendo i gruppi Olcese e Dell’Acqua e finendo per creare un impero tessile a cui aggiunse via via altri tasselli, come il “Valle Susa”.
A Perosa si passò perciò da un ‘imprenditoria di tipo familiare ad una conduzione manageriale nella quale l’elemento speculativo superava quello imprenditoriale.
Alla morte di Giulio (1959) subentrò il figlio Felice il quale, impreparato al compito per limiti propri, portò al fallimento l’intera società nel breve volgere di cinque anni. Il governo, considerato che circa ottomila lavoratori erano coinvolti (a Perosa un migliaio) riuscì a costruire un consorzio, l’E.T.I., che avviò la gestione nel marzo 1966. In seguito la società passò alla Montefibre, ma lo stabilimento di Perosa venne presto ceduto alla Manifattura di Legnano del gruppo Roncoroni e assunse la denominazione che tuttora permane: “Manifattura di Perosa”.
GLI IMPIANTI
Nel cotonifico di Perosa troviamo entrambe le tipologie costruttive tipiche del periodo: la tipologia a caserma è riscontrabile nell’edificio originario, un ampio quadrilatero di 60 metri di lato e di tre piani fuori terra, con un cortile a corte; l’altra, a capannone, nella costruzione che si espanderà (1915) verso il torrente Chisone e verso ovest, con un corpo di fabbrica che, congiungendosi con il precedente, si svilupperà su un solo piano fuori terra, ma su due livelli diversi, data la pendenza del terreno.
Nel secondo dopoguerra si ha un altro ampliamento, assimilabile al precedente, mentre negli ultimi anni (soprattutto dopo il fallimento del ’65) le scelte sono andate verso una maggiore razionalizzazione degli spazi esistenti e la cessione di parti considerate obsolete, con ampliamenti poco significativi.
Rispetto al problema energia, il Cotonifico di Perosa è sempre stato all’avanguardia: “…di luce elettrica usufruivano nel 1886 pochi opifici, come la manifattura Jenny & Ganzoni a Perosa…”. Nel 1920 si costruì una nuova centrale con particolari tecnici non comuni, mentre nel secondo dopoguerra venne messo in opera un impianto più moderno, mantenuto in vita ed automatizzato dall’ultima gestione.
LE OPERE SOCIALI
I Jenny prima e gli Abegg poi si allinenano agli altri imprenditori, sebbene non in misura così grande come i Gutermann, ristrutturando o costruendo ex-novo abitazioni e strutture per i lavoratori. Il primo edificio ad essere riconvertito è l’ex filanda dei Bolmida, ristrutturata agli inizi del secolo per la residenza di impiegati ed operai. L’edificio è composto da due corpi attigui di tre piani più seminterrato: la Filanda nuova, destinato all’abitazione degli impiegati,e la Filanda vecchia, destinato alla residenza degli operai..
Le costruzioni edificate ex novo in località Gravere, formano un nucleo a sè stante tipologicamente concepito come porzione di città giardino secondo i dettami dei primi piani regolatori londinesi. Alle Gravere troviamo infatti gli elementi tipici delle idee di Orwel: vicinanza al posto di lavoro, distribuzione razionale della superficie destinata ad orti, gestione comune del giardino.
Gli edifici ad uso collettivo comprendevano: il convitto Abegg, ampio edifico che ospitava le giovani operaie reclutate fuori Perosa; il Cral (circolo ricreativo autonomo lavoratori), che aveva la sua sede in un edificio adiacente allo stabilimento; lo spaccio, situato al piano terra della Filanda vecchia, che permetteva alle maestranze l’acquisto a prezzi concorrenziali di prodotti del gruppo tessile e di generi alimentari.
Nella travagliata storia del cotonificio di Perosa varie strutture, anche direttamente coinvolte nella produzione, sono state in varie epoche dismesse dalla proprietà e destinate a fini di pubblica utilità. In particolare il magazzino cotone sodo, dopo una radicale ristruttrazione, è ora sede degli ambulatori della locale U.S.S.L.; il parco, acquistato dall’ Amministrazione comunale, è a disposizione della popolazione. Le case operaie, al fallimento del Valle Susa, sono state messe all’asta e ricomprate dagli stessi operai/locatari. L’unica struttura non riutilizzata è il Convitto che, dopo aver ospitato per qualche anno gli allievi della scuola media, è abbandonato a se stesso, in uno stato di progressivo degrado.
IL COTONIFICIO DI SAN GERMANO CHISONE
La bassa Val Chisone fu interessata nel 1862 dalla costruzione del cotonificio del barone di Pralafera Paolo Mazzonis, in frazione Villa di San Germano Chisone. Nel territorio scelto la manifattura avrebbe potuto sfruttare il canale Risaglietto, costruito a suo tempo per il molino comunale.
L’anno seguente iniziò la produzione, sotto la direzione di Vittorio Widemann e con l’amministrazione di Camillo Simondetti. L’impianto di oltre 13.000 fusi modernamente attrezzato e mosso da una turbina idraulica azionata dalle acque del torrente dava lavoro nei primi anni di attività a circa 200 operai; localizzato in un territorio dove la prevalenza della popolazione era valdese, per tutto l’ottocento fruì solo in minima parte della manodopera locale, invitata dal concistoro a non abbandonare la terra e, con essa, la propria identità e cultura. Nonostante questi atteggiamenti, la manifattura – composta da tessitura e filatura del cotone di titolo 12 – raggiunse alla fine dell’ 800 i 20.000 fusi, con 800 dipendenti.
Nel 1873 vennero costruiti i magazzini e le scuderie per i cavalli, impiegati per il trasporto della materia prima e sostituiti poi – nel 1891- quando lo stabilimento fu collegato alla vicina linea ferroviaria.
Nell’ agosto 1892 un incendio distrusse l’impresa in modo irreparabile, tanto che i Mazzonis si liberarono degli stabilimenti e dei terreni, vendendoli per 152.000 lire a Widemann e Simondetti, decisi a ricostruire e riprendere l’attività.
Le cronache dell’epoca (Gazzetta di Pinerolo dell’agosto 1892) ci fanno sapere che la causa del incendio è da ricercarsi nel surriscaldamento di un filatoio self-acting. Questo fenomeno era piuttosto frequente, ma un operaio accorto sapeva come comportarsi, mentre il ragazzino che sostiutiva il filatore titolare, allontanatosi dal lavoro perchè in preda ai fumi dell’alcol, non seppe che fare e l’incendio si propagò velocemente alle pulegge, ai meccanismi, al pavimento in legno intrisi d’olio. Gli operai riuscirono ad abbandonare lo stabile sfondando porte e finestre, mentre i sangermanesi accorrevano, sindaco in testa, per dar man forte nell’opera di spegnimento.
I due soci diedero il via alla ricostruzione e nel 1894 lo stabilimento venne riaperto, raggiungendo presto i 150 dipendenti. Nel 1903 Simondetti, già socio di minoranza, ritirò le sue azioni, per cui Vittorio Widemann rimase l’unico proprietario. A quel tempo gli operai erano saliti a 300, con turni di 12 ore, spesso anche nei giorni festivi. Dopo la ricostruzione, che mantenne essenzialmente la tipologia precedente, lo stabilimento raggiunse il massimo splendore occupando operai provenienti da un bacino molto ampio; anche il rapporto percentuale tra i due gruppi confessionali risultò modificato, segno di un atteggiamento diverso dei valdesi verso il lavoro di fabbrica e di mutate condizioni socio-economiche della zona. Nel 1905 venne eretto il primo fabbricato per le famiglie degli operai, che si andava ad aggiungere al convitto , gestito da alcune suore (attivo, con altri scopi, fino al 1967); fu anche costruito un magazzino per la cooperativa, ampliato nel 1928, quando si ampliò anche la tintoria.
Nel corso della prima guerra mondiale lo stabilimento rimase chiuso per buona parte del tempo, a causa della scarsità di cotone e di carbone; molti operai trovarono lavoro alla vicina Riv di Villar che, impegnata nella produzione bellica, necessitava di nuova manodopera. Lo stabilimento riaprì all’inizio del 1920, mentre quattro anni più tardi il proprietario morì improvvisamente in un incidente stradale ed il figlio, anche lui di nome Vittorio, prese la guida dell’impresa, la quale passò non senza contraccolpi a livello occupazionale la crisi del ’29 e del ’35. Nel corso della seconda guerra mondiale il lavoro non mancò, e si giunse anche a riciclare i cascami. Nel 1940 si era aggiunta la casa degli impiegati a quella degli operai, mentre nel dopoguerra si ampliarono i locali, costruendo anche un’ ala nuova vicino al Chisone, dove trovò nuova sede il reparto cucirini.
Alla fine degli anni 50 iniziò l’ emoraggia di manodopera, attratta dalla retribuzione più interessante della Riv. Nel 1966 Widemann jr. trovò la stessa tragica fine del padre e da quel momento la crisi, vuoi per problemi di successione che per errori di conduzione, si fece ogni anno più grave. Nel 1977 lo stabilimento venne acquistato dall’ americana Forsyth & C. e nel giro di un anno (16 marzo 1978) venne decretato il fallimento. Il 16 ottobre 1979 tutti i beni della ditta furono venduti all’asta ed acquistati per 1590 milioni dalla Fin-Tor s.p.a., che iniziava una produzione leggera collegata al settore automobilistico, con una dozzina di addetti e provvedeva a vendere parte delle strutture non utilizzate ad imprese artigianali. Una parte dei locali destinati alla produzione sono perciò stati riutilizzati, ma senza un piano di recupero, mentre la maggioranza degli edifici è abbandonata ed in una condizione di progressiva decadenza.

L’INDUSTRIA MECCANICA
LA RIV DI VILLAR PEROSA
La famiglia Agnelli si trasferì a Villar Perosa a metà ottocento acquistando la villa settecentesca di proprietà dei Turinetti di Priero. Facoltosi agricoltori di Racconigi, gli Agnelli da tempo si dedicavano alla coltivazione del gelso e sembra proprio che uno dei motivi per i quali scelsero la Val Chisone come residenza sia stato il desiderio di avvicinarsi ad un polo della produzione serica piemontese. L’acquisto avvenne nel 1853, mentre il 13 agosto 1866 nacque il personaggio che doveva diventare il maggior creatore dell’industria italiana moderna, Giovanni Agnelli. Questi, compiuti gli studi classici ed aver seguito per alcuni anni la carriera militare nel Savoia Cavalleria, si dedicò dapprima alla conduzione dell’azienda agricola di famiglia, quindi alla mai repressa passione per la meccanica motoristica e, nel 1899, fonda la FIAT.
La leggenda vuole che l’idea di produrre in proprio i cuscinetti a sfere per le sue automobili balzi in testa a Giovanni Agnelli a causa del regolamento di una importante corsa automobilistica alla quale è intenzionato a partecipare. Una norma prescrive che tutte le parti dei veicoli iscritti siano fabbricate in Italia, per cui Agnelli non trova di meglio che mettersi in società con l’ing. Roberto Incerti, un meccanico costruttore di biciclette che possedeva due piccole aziende familiari a Torino e Villar ed iniziare la produzione dei cuscinetti progettati dall’ Incerti stesso. Naturalmente le ragioni della scelta sono soprattutto altre, legate al desiderio di affrancarsi dalla dipendenza da fornitori esterni per abbassare i costi ed avere materiale pienamente rispondente alle specifiche tecniche richieste. Dapprima si lavora in una piccola officina torinese, con 23 operai, quindi si decide l’espansione. Villar viene prescelta per la sede dello stabilimento di grandi dimensioni (si inizia nel 1907 con 6250 mq, 180 dipendenti, una centrale elettrica e 20000 pezzi annui prodotti) non tanto per ragioni sentimentali quanto per le notevoli risorse idriche e l’ampia disponibilità di manodopera sottocupata nell’agricoltura: Agnelli si allinea cioè, seppur tardivamente, alla tendenza che dalla prima prima metà dell’800 aveva spinto l’industria nelle valli. La produzione iniziale riguardava solo il cuscinetto, mentre le sfere venivano importate; dal 1911 entrò in funzione il reparto per la fabbricazione di queste ultime. A quell’epoca gli operai erano già 300 e 40 gli impiegati, mentre nel 1915 si arriva a 898 unità, salite a 1930 nel ’17, a seguito del primo conflitto mondiale, che aprì ampi spazi per nuovi profitti. La Riv divenne, al pari di altre industrie meccaniche, una vera e propria “macchina da guerra”, ottenendo dal governo di essere inserita tra le imprese incaricate di trattare affari all’estero per conto dell’amministrazione militare. Al termine del conflitto, quando l’azienda si costituisce in società anonima “Officine di Villar Perosa” ed ha come presidente il figlio di Giovanni – Edoardo-, si ritorna a livelli più bassi, con 1152 operai e 117 impiegati nel 1920, tre centrali elettriche ed un’area coperta di 18.800 mq.
Lo stabilimento di Villar comunque non è più sufficiente a soddisfare le richieste del mercato, per cui si aggiungo stabilimenti a Torino (1925), passando ad un totale di 4400 dipendenti e ad una produzione annua di 4 milioni di cuscinetti, e a Massa (1939), arrivando ad una produzione annua di 20 milioni di cuscinetti.
La costante crescita viene interrotta dalla seconda guerra mondiale e Villar non è risparmiata dai bombardamenti. I danni allo stabilimento, così come al paese, sono ingenti tanto che la produzione viene trasferita a Cimena in un tunnel al riparo dagli attacchi aerei, mentre uffici e archivio vengono spostati a Pinerolo. Al termine del conflitto si ricostruisce con fervore, per riavviare la produzione nel più breve tempo possibile. Intanto, il 16 dicembre 1945 scompare il fondatore dell’azienda, Giovanni Agnelli senior.
Nel secondo dopoguerra vengono ad aggiungersi gli impianti di Cassino (1959), Pinerolo (1960), Airasca (1963) che man mano assorbe la produzione di Torino fino a quando, nel 1972, quest’ultimo viene chiuso, Bari (1973).
Nel 1965 il gruppo Agnelli cede il pacchetto di maggioranza (78,5%) alla Svedish Kullager Fabriken (SKF) che, nel gennaio 1979, diviene unico proprietario acquisendo il restante 22,5% delle azioni.
LE OPERE SOCIALI
Rispettoso del suo ruolo di imprenditore paternalista, Agnelli fu prodigo di iniziative: dopo le prime case operaie, ora abbattute, costruì negli anni ’20 un villaggio di palazzine tutte uguali, nei pressi dello stabilimento, con abitazioni per gli operai, seguito dopo pochi anni, sempre sullo stesso lotto, da un villaggio per impiegati.
Negli anni successivi dotò il borgo della chiesa di Sant’ Aniceto, dell’ Oratorio, della scuola materna, dell’ambulatorio medico, di un teatro. Non solo, venne curato anche l’aspetto ricreativo, con la creazione di un gruppo sportivo, uno culturale, di una banda musicale, della biblioteca. Ogni momento della giornata, della vita dell’operaio veniva così coperto con una struttura voluta dall’imprenditore. La qualificazione dei futuri operai era garantita dalla scuola professionale, mentre per i momenti di riposo dei lavoratori Agnelli individuò nella zona di Prà Martino il sito ideale e vi impiantò un albergo ed una colonia estiva.
Non meno importante fu l’intervento su aree non comprese nel territorio comunale, come la costruzione del sanatorio in località Prà Catinat (1929), dell’ Ospedale di Pinerolo, o la creazione del centro sciistico di Sestrieres (1931)
LA TRANVIA PINEROLO – PEROSA
A soli sei anni dalla nascita della ferrovia in Italia (con la linea Napoli-Portici, nel 1839), venne proposto il collegamento ferroviario da Pinerolo a Torino. Questo “quasi primato” non potè essere annoverato in quanto per vedere un treno giungere a Pinerolo si dovette attendere fino al 27 luglio 1854.
Visto il successo della nuova linea, si pensarono vari prolungamenti e nuovi rami, come il collegamento con Fenestrelle, ponte di lancio per Briançon ed il sistema ferroviario francese. Questo progetto, presentato in parlamento nel 1879, non ebbe seguito, mentre la “Società anonima per la costruzione e l’esercizio di un tramway a vapore da Pinerolo a Perosa Argentina” ottenne l’autorizzazione alla costruzione in data 22 gennaio 1882 ed il 15 agosto dello stesso anno il primo tramway raggiunse Villar Perosa. Per il collegamento con Perosa bisognerà attendere ancora fino al 26 agosto del 1886.
La linea ebbe subito successo, nonostante gli alti tempi di percorrenza (almeno 75 minuti !), sia per il traffico passeggeri che per quello merci. L’acciaio per la Riv giungeva a Villar con la linea di Saluzzo. Scaricati, gli stessi carri scendevano a Malanaggio dove caricavano il talco destinato alle cartiere di Verzuolo. Nel drammatico incendio del 1910 alla Gutermann di Perosa, una squadra di cavalleggeri da Pinerolo ed una di operai dalla Riv giunsero “celermente” sul posto a prestare aiuto grazie alla tranvia.
Nel 1911, per volere di Agnelli, venne creato l’autoservizio da Perosa a Pragelato e a Perrero, con sede presso la tranvia a Perosa, così da dare continuità al trasporto pubblico verso le alte valli, non servite dal mezzo su rotaia. Curiosamente, le tariffe per le corse verso monte sono leggermente più alte che per quelle verso valle.
Nel 1922 la linea venne elettrificata, con trazione elettrica a corrente continua alla tensione di 2000 volt e, modernizzatasi, continuò egregiamente il suo servizio. furono messe in opera nuove carrozze, invero un pò strettine, ma con illuminazione e riscaldamento elettrici. L’energia era fornita dalla SAFFTA tramite la centrale di Inverso Pinasca.
La seconda guerra mondiale non produsse danni ingenti ed il servizio riprese al termine del conflitto con rinnovato vigore, anche se con dei limiti imposti dalla scarsa quantità di energia disponibile.
L’aumento del traffico automobilistico e le esigenze delle industrie imposero, all’inizio degli anni ’60, una scelta: il trasferimento della tranvia in sede propria o il suo smantellamento passando al trasporto su gomma. Venne scelta quest’ultima soluzione ed il 4 marzo 1963 per l’ultima volta il mitico “Gibuti” raggiunse Perosa. Il servizio, in seguito limitato a Villar Perosa, fu soppresso il 10 febbraio 1968.
dal testo dell’opuscolo per la mostra al Palazzo del Senato, Pinerolo – 1994
curatori Valter Bruno,Gino Baral, Gian Vittorio Avondo, Dario Seglie

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