C’è un senso di maternità che corre lungo tutta la storia dell’uomo e che ha trovato continue figure a riproporglielo, quasi a rassicurarlo che questa protezione archetipa, che lo accompagna dai suoi primi passi incerti, lo seguirà fino alla sua più alta evoluzione.
Pensiamo, ad esempio, per l’arco alpino occidentale, ai culti preistorici rivolti alla Grande Madre Terra, devozioni e ruoli riconfermati poi nelle divinità espresse in merito dalla cultura religiosa celtica e romana, e di cui non poche tracce ci sono pervenute, seppur adattate o trasformate, attraverso reperti, toponimi, leggende. Per non parlare nella tradizione cristiana della figura di Maria: semplice ma profonda, trascendente ma nello stesso tempo concretamente quotidiana.
Il masso che si innalza al Colle della Vecchia a lato del sentiero, potrebbe essere una memoria proprio di quest’antico ruolo protettivo, qui interpretato appunto da una Vecchia, in veste “insolitamente” positiva rispetto a come il folklore l’ha in genere tratteggiata. Lo suggerirebbero il toponimo, la forma del masso che da certi lati sembra prospettare un aspetto antropomorfo, femminile, ed una leggenda, tutt’oggi ben conosciuta nella zona di Fenestrelle ed Usseaux.
Due pastorelli, radunando una sera il loro gregge al pascolo a Pian dell’Alpe, si accorsero che mancava un capretto. Nonostante il buio fosse ormai prossimo, si misero immediatamente alla sua ricerca, salendo su fino alle alte e ripide praterie tra il monte Pintas e Punta Ciantiplagna, dove si diceva che vivesse la Vecchia, una misteriosa donna che era solita portarsi via le pecore e le capre che si allontavano dal gregge.
Quando stremati giunsero sul colle, mentre una fitta nebbia li avvolgeva, si parò di fronte a loro proprio la Vecchia che sotto il mantello nero custodiva il capretto perso. Nel frattempo il gregge aveva fatto ritorno a valle e la vista degli animali senza i loro giovani custodi, allarmò gli abitanti del piccolo paese che andarono subito a cercarli .Solo alle prime luci dell’alba riuscirono però a trovarli, ma subito si tranquillizzarono: i pastorelli dormivano infatti sereni con il loro capretto sotto il manto della Vecchia.
Di lei nessuna traccia, solo un grosso masso sul colle, che da allora ricorda la sua figura e la sua protezione. (Versione raccolta a Usseaux, ’96). Con l’altra denominazione del masso, cioè Dente della Vecchia – tra l’altro in parte ripresa da una recente iscrizione, posta su di una vicina nicchia rocciosa ospitante una statua della Madonna, detta appunto Madonna del dente, e qui collocata in ricordo della tragica morte nel ’95 di due giovani appassionati di montagna – ci accostiamo invece all’altra figura della “vecchia”, di personalità ambivalente, spesso associata nelle vallate alpine occidentali a rocce aguzze ed isolate, e certamente meno riconducibile ad immagini materne e rassicuranti.
La sua dimensione simbolica è però altrettranto forte, come per la Vecchia che compare in una tradizione della Val Germanasca, dove per scoraggiare un giovane a scendere al capoluogo di Perrero, gli si diceva che avrebbe dovuto rendere un tributo poco gradevole alla vecchia donna che viveva nei pressi del ponte Rabbioso. Oltre alla funzione deterrente, è innegabile in questa figura anche il suo ruolo culturale di custode di un passaggio, di un rito di iniziazione.
Pure nella prima pianura si parlava della Vecchia, presentandola perlopiù come un personaggio da temere che si aggirava di notte, senza chiedere nulla, ma che faceva sicuramente molta paura quando improvvisamente passava accanto al viandante con il suo mantello scuro.
(Per raggiungere il Colle della Vecchia con possibilità di proseguire fino al panoramico spartiacque Chisone/Susa ed eventualmente fino in cima al Ciantiplagna, ad oltre 2800 metri, c’è un comodo tracciato militare che si prende all’altezza della casa cantoniera, prima di arrivare al Colle delle Finestre.) Autore: Diego Priolo Estratto da “L’eco del Chisone” 31 dicembre 1998 |